4 bugie che ti racconti sullo storytelling

L’essere umano è un campione inarrivabile per quanto riguarda l’auto-ingannarsi con le bugie. Lo fa per giustificare i propri comportamenti più o meno irrazionali o egoistici o, ancora più spesso, per coprire le proprie paure.
Quando si tratta di raccontare se stessi e il proprio lavoro, la posta in gioco sembra essere così alta, soprattutto se si è creativi e il lavoro che si fa è frutto di una passione, l’attaccamento emotivo così viscerale, che le panzane fioccano per giustificare che non si fa quello che si dovrebbe fare, ovvero comunicare agli altri il proprio lavoro, perché si fa, per chi lo si fa, come ci si sente mentre si fa, eccetera, che è il succo del fare storytelling.
E raccontarsi queste bugie è spesso l’unico modo che abbiamo per non confrontarci con la dura realtà: ci caghiamo sotto. Abbiamo paura del giudizio, di non essere brave abbastanza, di esporci troppo, come se fare un post o una descrizione di un prodotto fosse questione di vita o di morte. Il fatto è che non è questione di vita o di morte, è questione di lavoro.

Nessuno ti costringerà a svelare i tuoi segreti più intimi, sei tu ad avere il pieno controllo su quello che vuoi o non vuoi raccontare, fermo restando che qualcosa devi raccontare, perché, come ripeto sempre (e se hai letti i miei ebook o partecipato ai miei workshop lo sai già), l’artigianato può essere valorizzato tantissimo dalle storie che ci sono dietro, altrimenti come puoi differenziarti, coinvolgere, far venire voglia di acquistare i tuoi prodotti?

Il cambiamento del marketing degli ultimi anni è stato principalmente questo, si è passati dal cosa (il prodotto in sé, i suoi pregi, la sua utilità) al chi / perché / come (chi c’è dietro al brand, perché il prodotto è perfetto per il target, come si colloca nella sua vita).

Hai fatto caso che alla Feltrinelli ci sono, da oramai qualche anno, le selezioni dei libri consigliati dai dipendenti? L’interazione personale è quella che ha più valore in assoluto in termini di comunicazione pubblicitaria, i consigli che seguiamo di più sono quelli delle persone che sentiamo vicine, siano amici e parenti, conoscenti sui social o influencer. È per questo che devi (sì, devi!) raccontarti, per creare quella connessione tra te e chi ti segue, che ha molto più valore di una vendita, perché è una connessione che durerà e si rafforzerà col tempo, creerà un rapporto tra te e le persone che amano il tuo brand.
Le persone devono avere un motivo per seguirti, per volersi aggiornare su quello che fai e se tu questo motivo non glielo dai, come puoi pensare che compreranno mai da te o consiglieranno il tuo brand?

Vediamo quali sono queste bugie e se riuscirò a farti capire perché dovresti smettere di raccontartele:

1. Bastano le foto per raccontare il brand

Eh no bella mia, non bastano le foto per raccontare quello che fai! Innanzitutto perché spesso le tue foto non raccontano molto (mi spiace, è la verità), secondo poi perché raccontando con le parole hai una seconda chance, sia che la foto abbia colpito sia che non lo abbia fatto, per trasmettere alcune informazioni importanti:
a) puoi far capire che sei tu a creare gli oggetti che pubblchi, fatto che potrebbe non essere così scontato guardando l’immagine;
b) puoi spiegare quanto tempo impieghi a creare, quali competenze usi, insomma, portare alla luce il valore dei tuoi manufatti, che non possono essere equiparati agli oggetti prodotti industrialmente;
c) agganciare ulteriormente il lettore e trascinarlo nel mondo del tuo brand e renderlo tuo adepto follower, perché si rispecchierà in quello che racconti e come lo racconti.
Le descrizioni, la tua bio, i post dei social, sono tutte occasioni che, se non usate bene, saranno sprecate. Se ti chiedi come mai nessuno commenta o interagisce sui tuoi social, o non compra dal tuo negozio, un motivo (o uno dei tanti) potrebbe essere che hai speso poco tempo a lavorare sulla parte scritta del tuo brand. Magari mettici che pure le foto sono così così, e allora che pretendi?
Infine, per descrizioni, post del blog e bio, vale anche il discorso SEO: dei testi ben scritti e contenenti le parole chiave ti servono anche per essere indicizzata dai motori di ricerca.
Quindi no, le foto non bastano.

2. Non sono capace a scrivere

“Scrivo male”, “Mi blocco”, “Il mio italiano fa schifo”, queste sono solo alcune delle frasi che sento di solito ai miei workshop dal vivo. Quello che ti voglio dire è questo: nessuno si aspetta da te che tu vinca il prossimo premio Nobel per la letteratura. Non devi essere, né diventare, una copywriter, non devi scrivere poemi, romanzi, trattati.
Devi raccontare quello che fai e puoi farlo come ti viene meglio. Scrivere è una capacità che, come ogni altra, va coltivata. Se non ti viene naturale, se ti inceppi ogni tre parole, ti devi allenare, perché più scrivi, meglio scriverai.
Ti sento: “Ma non ho tempo per scrivere, devo già fare tutte le altre 8234028 cose, come creare, fare le foto, programmare i social, vivere”.
Non devi farlo due ore al giorno! Bastano dieci minuti, o una mezz’ora; l’importante è che tu lo faccia con regolarità, per abituare la tua mano a seguire i tuoi pensieri e abituare i tuoi pensieri a formulare delle frasi adatte a essere scritte.
Il consiglio che do sempre è quello di tenere un diario, perché è quello che faccio io e funziona per me, ma puoi usare altri modi che ti siano più congeniali. Tipo fare un post al giorno sui social, prendendoti dieci minuti per pensarlo e scriverlo; trovarti un’amica di penna e iniziare una corrispondenza; iniziare un blog (o riesumare quello abbandonato) e scriverci regolarmente.
In ogni caso, persevera per almeno qualche mese, finché non noterai che scrivere non ti metterà più pensiero e riuscirai a esprimere quello che vuoi dire con una “voce” che ti appartiene.
Avrai raggiunto il risultato sperato quando ci metterai poco tempo a fare un post e le persone ti diranno che, quando ti leggono, sembra loro di sentire la tua voce nella testa. In ogni caso, o impari o paghi qualcuno per farlo al posto tuo, perché se vuoi far crescere il tuo brand, questa cosa non è negoziabile.

3. Le persone non leggono

Oramai è noto, i naviganti dell’internet si soffermano pochissimo sui contenuti. Leggono di fretta, non leggono affatto, guardano solo i video scemi. Questo è vero, ma non può essere usato come scusa per non creare contenuti di qualità, perché non tutti gli internauti sono uguali e sì, per quanto incredibile possa sembrare, ci sono persone che leggono.
Non devi scrivere papiri per ogni post che fai sui social, ma almeno le descrizioni e la bio devono contenere tutte le informazioni necessarie a chi legge per decidere se fidarsi di te (la bio), se fai al caso suo (la bio), se il prodotto è quello che cercava (la descrizione), se il prodotto ha tutte le caratteristiche di cui ha bisogno (la descrizione).
Sui social racconta quello che fai, senza paura di dilungarti.  Se lo farai bene (e per bene intendo in un modo che sia autentico e interessante per chi legge, ovvero il tuo target), vedrai che i tuoi post saranno letti, eccome! Come sempre il target è il centro di tutto ed è l’elemento di cui dovresti tenere conto quando comunichi.
Ci sono target che non leggono e altri che leggono i papiri. Cosa fa il tuo?

4. La ripetitività stanca

Un’altra frase che sento spesso è questa: “Non dico che ho il negozio o che vado a un evento più di una volta perché non mi va di essere ripetitiva, non voglio essere spammona, poi i follower mi mollano perché dico sempre le stesse cose”.
Un’altra breaking news per te: gli occhi del mondo non sono puntati su di te o sui tuoi social. Per quanti follower tu abbia, devi capire che:
a) non tutti leggono tutto, gli algoritmi dei social fanno sì che solo una percentuale di chi ti segue vede quello che pubblichi;
b) su canali diversi ti leggono persone diverse, se dici che vai a un mercatino solo su Facebook, chi ti segue su Instagram e basta non lo saprà mai (buuuuh);
c) chi ti segue vuole sapere cosa fai e dove vai, quindi dovresti partire dal presupposto che loro siano ben contenti di sapere che il tal prodotto è in vendita o che partecipi a un mercatino. Pensa che a ricordarglielo fai loro un favore!
La premessa da cui parti quando fai quei ragionamenti è falsata dalla tua insicurezza, dal fatto che ti senti una spammona di merda (cit.) quando parli della tua attività (che, ti ricordo, dovrebbe essere un’attività economica, e come tale gestita, altrimenti è un hobby e allora fai come vuoi e come ti senti) e quindi pensi che gli altri stiano lì a giudicarti negativamente se fai quello che va fatto, ovvero ricordare che le tue creazioni sono in vendita, da qualche parte.
Se racconti bene quello che fai, le persone che ti seguono (e se ti seguono c’è un motivo) saranno solo contente di sapere di poter comprare i tuoi prodotti.

Quali di queste bugie ti sei raccontata in passato o ti racconti ancora?

Se anche tu, come tante altre creative, ti trovi in difficoltà quando devi scrivere di te e del tuo lavoro sui social, nelle descrizioni o nella bio:
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