A non copiare ce lo insegna Dirty Dancing

Torno a parlare di copie e del copiare, perché è un argomento su cui ho riflettuto anche grazie a un film, Dirty dancing.

Su un servizio di streaming ho incrociato il remake dell’iconico film del 1987 e, presa da curiosità, l’ho guardato, pur avendo sentore di ciò che mi aspettava (ho fatto il grave errore di non controllare su IMDB dove il film ha 3.2 di punteggio –__–°).

Ora, Dirty dancing è stato, per me, come penso per tanti di noi over 40, uno dei film cult dell’adolescenza. Ricordo che al tempo avevo un’amichetta che ne era ossessionata (io lo avevo amato ma forse ero troppo giovane per apprezzarlo al 100%) che lo aveva guardato settordordici volte e si era fatta registrare dal negozio di dischi una cassetta con tutte le canzoni della colonna sonora (pensa la gioia per loro) perché al tempo non ne esisteva l’LP o forse non si trovava qui a Terni. Ancora ho quella cassetta, che mi aveva duplicato e, come spesso mi è accaduto in seguito, la colonna sonora era la parte che più avevo apprezzato.

Poi, negli anni, non ho più riguardato il film, relegato nella mia testa a filmetto romantico per adolescenti e sognatrici sdilinquite
Nonostante ciò, quando ho guardato il remake, pur non ricordando l’originale per filo e per segno, ho provato disappunto per alcune cose:

  1. Il remake è davvero un remake passo passo, quasi ogni scena è riprodotta in dettaglio, per mosse e inquadrature.
  2. Il remake presenta delle aggiunte alla storia, ovvero mostra i protagonisti 10 anni dopo e delle sotto trame di altri personaggi (es. la sorella e i genitori).
  3. La colonna sonora è la stessa ma composta di remake delle canzoni originali.
  4. I protagonisti non sono all’altezza e tra loro non c’è chimica.
  5. Quindi, alla fine, è una quasi copia.

Finito di guardare ‘sto remake, la grande, immensa domanda, comparsa come un neon luminoso sulla mia testa, è stata: PERCHE’???

Il film non mi è piaciuto affatto, l’ho trovato insulso, pieno di stereotipi, recitato male, ballato male (sob) e la colonna sonora è la parte migliore, pur con alcune canzoni reinterpretate un po’ meh. Perché rifare tutto, pure con delle aggiuntine, senza apportare qualcosa in più rispetto all’originale? E il qualcosa in più non possono essere, semplicemente, più scene.

Qual è il senso di copiare se il risultato è una brutta copia? E allora mi sono riguardata l’originale, che non vedevo da almeno venti anni. Che te lo dico a fare: L’ho amato molto, è un film che ha tutto giusto e mi rendo conto che migliorarlo non sarebbe stato possibile. Allora perché tentare? Immagino che lo scopo fosse quello di conquistare il pubblico giovane che non ha mai visto il film dell”87, solo che questa cosa poteva essere fatta in tanti altri modi. O non essere fatta per niente. Perché non spendere quei soldi e quelle energie per produrre un film nuovo?

Il pensiero poi è andato automaticamente all’artigianato: perché fare una copia di qualcosa che esiste già, se non si è in grado di generare un prodotto migliore? Ha senso immettere sul mercato l’ennesimo prodotto identico a tanti altri o addirittura copiare intenzionalmente il lavoro altrui (anche se lo si fa candidamente perché si ignorano le implicazioni legali e morali) per vendere, alla fine della fiera, una brutta copia? Come dice anche Austin Kleon, ruba come un artista, ovvero, copia sì, ma per migliorare, per prendere spunto, per smuovere i neuroni e poi, quando si tratta di mettere in circolo il tuo lavoro, rilascialo nel mondo solo se porta qualcosa di nuovo sul piatto, altrimenti continua ad esercitarti e migliorare, nel segreto della tua cameretta. Prendiamo esempio dalla Disney, che prova a conquistare i bambini di oggi con una Mary Poppins fortemente ispirata all’originale ma che porta in scena una nuova storia.

Altrimenti puoi star sicura che la reazione alle copie sarà unanime e simile a quella che ho avuto io quando ho visto il remake di Dirty dancing:

Articolo tratto dalla newsletter del 20 settembre 2018.