Caso studio: Serengetee e la mission forte
Mi sono imbattuta nel brand Serengetee su una foto di una booklover in cui spiegava il termine “wanderlust”, malattia da cui sono afflitta da sempre, e in cui compaiono due prodotti del suddetto brand.
Devo dire che il profilo Instagram non mi ha impressionato particolarmente, perché probabilmente non rientro nel loro target, e stavo per andarmene senza seguirlo, quando ho letto la mini-bio nel profilo: “Customize fabric from around the world onto products you love. Wear the World, Change the World“.
Interessante, no? Sono corsa al sito.
Questa è la frase che accoglie il visitatore che entra nel sito Serengetee, una frase potente i cui termini “artisans” e “causes” e “around the world” mi stanno particolarmente a cuore. Volevo saperne di più!
Ho iniziato a cercare la pagina bio senza trovarla (ok ero da mobile quindi meno facile) finché ho visto che c’era la pagina MISSION in cui è raccontata brevemente anche la storia di come questo brand è nato.
Jeff e Ryan sono due ragazzi americani, si sono conosciuti durante “Semester at sea” un programma di studi che li ha portati intorno al mondo. Durante i viaggi hanno iniziato ad acquistare stoffe in ogni posto che hanno visitano, fino ad averne così tanti da volerci fare qualcosa. Rivenderli? Farci dei “lavoretti”? No, loro cercano un modo per cambiare il mondo grazie a queste stoffe; al rientro, senza alcuna esperienza di cucito, iniziano ad usare le stoffe per fare dei taschini per le tshirt.
Serengetee nasce così, da due studenti che nel tempo libero, nei loro dormitori universitari, si inventano un lavoro con l’unico scopo di aiutare gli artigiani dei paesi che hanno visitato. Li vogliono aiutare acquistando stoffe da loro, stoffe che diventeranno prodotti il cui ricavato di vendita andrà in parte a delle organizzazioni che operano sui territori da cui le stoffe arrivano.
L’attività decolla, assumono sarte e altro personale e Jeff e Ryan continuano a viaggiare per il mondo in cerca di artigiani da aiutare e stoffe da trasformare in una moltitudine di prodotti. The end.
Avrai notato, la loro bio è piuttosto scarna: non è indicato cosa studiavano Jeff e Ryan, dove abitano, quanti impiegati hanno ora, quali problemi hanno affrontato. Secondo me (e qui mi contraddico, dato che di solito consiglio di avere una bio discretamente lunga e dettagliata) non ne hanno bisogno, perché hanno una mission così potente che basta quella.
E’ bastata a portarmi dal loro IG al loro sito, e basta a farmi venire voglia di acquistare. Anche se non rientro nel loro target, che è fatto, deducendo da mission e profilo IG, da giovani individui che amano viaggiare e, secondariamente, tramite i loro acquisti, vogliono cambiare il mondo.
Stanno vendendo un’illusione? In molti dicono che oramai l’acquisto vale più del voto se si vuole cambiare qualcosa, e in questo caso Serengetee spinge a fare proprio questo e come altri brand prima di loro (pensa alle Tom’s Shoes!), rendono l’atto di comprare un prodotto un’azione verso un mondo migliore. Cosa c’è di meglio che fare shopping e sentirsi virtuosi? Quante volte hai fatto acquisti, sentendoti in colpa perché stavi comprando qualcosa che non ti era necessario o sapevi non essere “eticamente” a posto? Ecco, con Serengetee il senso di colpa si trasforma nella sensazione di aver fatto qualcosa di buono, perché si ha la consapevolezza che parte dei soldi spesi andranno ad una buona causa.
Un altro elemento importante è il loro motto “wear the world” che fa appello alla suddetta “wanderlust”; il tema del viaggio è prominente nella loro comunicazione, attirando sia i viaggiatori ma anche chi vorrebbe viaggiare ma non può. Il messaggio è che, grazie a una maglietta o un cappello, si può essere trasportati lontano e visitare il mondo grazie ai prodotti artigianali creati in altri paesi; il succo è che può bastare un pezzetto di stoffa a farti pensare all’Africa o all’Indonesia (e qui ti ricordo questo mio post in cui spiego il potere evocativo della provenienza di un oggetto).
Quale lezioni ci portiamo via da tutto ciò?
Una mission forte vale più di qualsiasi foto bella, bio o descrizione ben scritta, forse più di un prodotto stupefacente. Quando scrivi la tua mission pensa a cosa vuoi smuovere nell’animo di chi la legge, pensa a cosa vuoi che senta e pensi il tuo target; usa le parole giuste per acchiapparlo, evita i termini vaghi che non servono a niente.
Una volta che hai la tua mission, condensala in una frase e mettila ovunque, perché sarà spesso grazie a quella che i tuoi potenziali clienti arriveranno a comprare da te.
Cosa ne pensi? Sei riuscita a creare una mission potente?
30 Maggio 2023 @ 14:24
Illuminante, una bella fonte di ispirazione per evitare di scrivere cose già scritte e riscritte che risultano banali e noiose.